
Progetto in collaborazione con MASTER NUTRIPESA
Nutrizione di popolazione, Educazione e Sicurezza Alimentare
Università degli Studi di Padova
a cura della Prof.ssa Maria Pia Rigobello
Le marmellate, le confetture, le composte di frutta e il miele hanno un ruolo importante principalmente nella prima colazione e nelle merende. Innanzitutto abitualmente chiamiamo “marmellata” qualsiasi combinazione spalmabile di frutta, zucchero, pectine portata a gelificazione con la cottura ma, in realtà, le tre tipologie differiscono per contenuto di frutta e zuccheri in modo significativo.
Facciamo chiarezza
Il termine “marmellata” si riferisce più precisamente ad un prodotto che contenga polpa e/o purea esclusivamente di agrumi come arancia, mandarino, limone, cedro, bergamotto e pompelmo (dei quali si può usare la polpa, la purea, il succo, gli estratti acquosi e anche la scorza) mentre se il frutto o i frutti utilizzati sono diversi dai precedenti il prodotto è chiamato “confettura”. Nella marmellata la percentuale di frutta deve essere di almeno 200 g / Kg di prodotto e nella confettura di almeno 350 g. Se la frutta è presente per almeno 450 g / Kg ciò è indicato dalla specifica “extra”. La “composta” è più ricca di frutta della confettura (almeno 650 g / kg di prodotto) e soprattutto non contiene zuccheri aggiunti, ma solo quelli già presenti nella frutta usata per la preparazione. Pertanto ha meno della metà di zuccheri di quelli della confettura corrispondente e perciò anche il suo apporto calorico è più basso.
A queste aggiungiamo la cosiddetta “marmellata gelatina” che è priva di componenti insolubili (cioè è fatta utilizzando solo il succo del frutto ma non la polpa anche se sono tollerate piccole quantità di buccia di agrumi ridotta in pezzi molto piccoli e sottili) e la crema di marroni che si ottiene, come le precedenti, dalla gelificazione di acqua, zucchero e purea di marroni che deve essere presente per almeno 380 g / kg di prodotto.
In generale 100 g di una normale marmellata o confettura forniscono circa 59 g di carboidrati, 0,5-1 g di proteine, niente lipidi e 2,2-2,4 g di fibre per un apporto energetico di circa 225 kcal.


Il miele
Spesso, al posto di marmellate e confetture, o per dolcificare, usiamo il miele che per secoli è stato l’unico dolcificante disponibile, ad esempio per gli antichi romani che non conoscevano lo zucchero da cucina ma che è anche un alimento naturale, ricco di sostanze utili che derivano dal nettare dei fiori e, se questi sono scarsi, anche dalla melata (secrezioni delle piante e di altri insetti) che le api raccolgono e dal processo di trasformazione che ne fanno nel loro organismo prima di immagazzinarlo nei favi. Il miele è un prodotto naturale di consistenza più o meno viscosa e di colore vario (ma sempre nello spettro del biondo-ambrato di tonalità diverse) a seconda del tipo o dei tipi di piante dalle quali deriva (monoflora come quelli di acacia, tiglio, arancio, castagno ecc. oppure millefiori se da vegetazione mista) e del sistema di estrazione dai favi (vergine, centrifugato, torchiato). Nonostante esistano tipi diversi di miele con composizione e concentrazione zuccherina leggermente diversa possiamo considerare che, in media, 100 g di miele apportino intorno alle 300 kcal e contengano circa 70 % di zuccheri (glucosio, fruttosio, saccarosio e oligosaccaridi), 1% di proteine, 1-5% di gomme e destrine, 17 % di acqua, 0.05-0.3 % di molti minerali, tracce di vitamine come vitamina C e vitamine del gruppo B (riboflavina e nicotinammide) e di enzimi e proteine derivanti dalle api. Sono presenti anche molecole antiossidanti fenoliche. Non sono ammessi additivi di nessun genere.
Il miele di qualità, che non è stato trattato termicamente, si presenta semiliquido ma, con il passare del tempo (alcuni mesi), e/o l’abbassamento della temperatura, cristallizza però torna omogeneo intiepidendolo. È da sottolineare che il miele cristallizzato non è per nulla deteriorato, anzi si comporta così perché non è stato trattato termicamente.
L’elevata quantità di zuccheri ed una acidità prodotta da acidi organici (principalmente acido gluconico) conferiscono al miele una certa attività batteriostatica e che, rispetto allo zucchero da cucina (saccarosio, circa 400 kcal per 100 g), il miele apporta un po’ meno calorie (circa 300 kcal / 100 g), ma presenta un indice glicemico piuttosto elevato (intorno a 60). Il potere dolcificante è però leggermente maggiore rispetto al saccarosio e quindi se ne può usare meno.
Fin dall’antichità vengono attribuite al miele le proprietà curative più disparate ma quelle più note sono come decongestionante e antinfiammatorio naturale, antibatterico, tonico, digestivo e benefico per l’apparato gastrointestinale ed infine adiuvante nel controllo del colesterolo. Poiché queste proprietà dipendono dalla presenza nel miele di sostanze provenienti dalle piante di origine possono differire da un miele all’altro. Per esempio quello di acacia è indicato come ricostituente, disintossicante e contro il mal di gola; quello di castagno è relativamente ricco di ferro; quello di tiglio sembra essere utile contro l’emicrania ed ha un effetto rilassante; quello di girasole può avere un effetto antinevralgico, diuretico e astringente e quello di eucalipto presenta proprietà balsamiche e combattere le malattie da raffreddamento. Il miele, grazie all’elevata concentrazione di zuccheri semplici (glucosio e fruttosio che passano velocemente nel circolo sanguigno) è una buona fonte di energia quando l’organismo ne richieda velocemente come nel caso dell’attività sportiva, di un lavoro pesante, o anche della prima colazione in preparazione dell’inizio dell’attività quotidiana.