
Progetto in collaborazione con BCA Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione Università degli Studi di Padova
A cura del Prof. Enrico Novelli
Corso di Studi Sicurezza Igienico-sanitaria degli Alimenti – Sede di Vicenza
Dalla tradizione casearia pugliese
Parliamo oggi di burrata che senza dubbio è una delle più note specialità casearie a pasta filata e allo stesso tempo uno fra i più importanti prodotti della stessa tradizione casearia pugliese. I formaggi a pasta filata, come abbiamo già ricordato in una precedente nota dedicata alla mozzarella, sono una tipicità tutta italiana poi diffusamente esportata nel mondo. Il processo consiste in una doppia lavorazione la caseificazione vera e propria e la successiva filatura della cagliata in acqua bollente. Durante la filatura, condotta mediante immersione della pasta in acqua a temperatura di 90-95 °C, la pasta della cagliata vira da una struttura granulare e discontinua ad una struttura continua e fibrosa. In questo stato di temporanea elasticità, la pasta viene tirata a formare lunghi cordoni che possono essere sagomati nella forma desiderata che diventa irreversibile durante la successiva fase di raffreddamento. Si ottengono così la meglio nota Mozzarella, la Scamorza, il Caciocavallo e i formaggi a lunga stagionatura come il Provolone e il Ragusano. La Burrata, fra i suddetti, è un prodotto caseario un po’ particolare giacché risulta dalla combinazione di un formaggio fresco a pasta filata, che costituisce l’astuccio esterno, con un ripieno di panna fresca che con il raffreddamento al termine del processo di lavorazione solidifica, assumendo una struttura più compatta, vagamente simile a quella del burro.


Come viene fatta la Burrata?
Cerchiamo di capire come viene fatta la Burrata guardando l’elenco degli ingredienti. Si parte da latte fresco intero di vacca che viene utilizzato crudo oppure pastorizzato ad una temperatura di poco superiore ai 70 °C, infatti ciò di cui stiamo parlando è un prodotto fresco che viene messo in commercio poco dopo il termine della lavorazione e per il quale sono sempre necessari elevati standard di sicurezza igienico e sanitaria.
Dopo abbassamento della temperatura a circa 37 °C si aggiunge il siero innesto. Di cosa si tratta? Per taluni il siero innesto nella lavorazione del formaggio equivale al lievito madre nella lavorazione del pane. Si ottiene dal siero della lavorazione del giorno precedente di cui una quantità nell’ordine di alcune decine di litri viene collocato in appositi contenitori e lasciato a temperatura ambiente per almeno 12 ore durante le quali i batteri lattici caseari moltiplicano e fermentano parte del lattosio presente nella massa così da acidificare il siero. In questo modo si seleziona la cosiddetta flora lattica caratteristica del prodotto e se vogliamo caratteristica anche di ciascun caseificio che si tramanda giorno dopo giorno da una lavorazione alla successiva, un po’ come il lievito madre. Il latte appena pastorizzato, pertanto privo di batteri in forma biologicamente attiva, viene riversato nella caldaia e addizionato di questo concentrato di batteri lattici, anche detti fermenti, contenuti nel siero innesto. Il latte comincia perciò ad acidificare favorendo così l’azione degli enzimi coagulanti che vengono aggiunti poco dopo.
Nello specifico della Burrata Pugliese Eccellenze di Prix, quello impiegato è un coagulante microbico.
Cos’è il coagulante microbico?
Intanto ricordiamo che il coagulante, in forma di proteina ad azione enzimatica, agisce come una sorta di forbice che taglia quella frazione più esterna della micella di caseina che ne manteneva la stabilità in forma colloidale (ovvero la manteneva dispersa) nel siero. Venendo meno questa frazione esterna la caseina aggrega formando in pochi minuti una massa caseosa piuttosto densa. Questa azione di taglio avviene con rapidità solo se il latte ha un pH prossimo a 6 (ricordiamo che il pH è l’unità di misura dell’acidità di un alimento o di una bevanda e in questo caso risulta dall’azione acidificante del siero innesto aggiunto al latte in caldaia, il cui pH iniziale è superiore a 6,6) e la temperatura prossima a 40 °C. Queste, sono le condizioni del latte ottimali per l’attività della proteina ad azione coagulante.
Il coagulante microbico si ottiene dall’azione fermentante di muffe che vengono poi allontanate per filtrazione o per centrifugazione. Ne risulta così prodotto un enzima in forma particolarmente pura adatto alla produzione dei formaggi a pasta filata. Quello appena descritto non è l’unico caso di utilizzo a scopo alimentare di enzimi prodotti da microrganismi. Per esempio, nel settore della produzione della birra e dei prodotti da forno è frequente l’utilizzo di enzimi ottenuti da microrganismi così come per la chiarificazione di succhi di frutta o del vino o per idrolizzare il lattosio del latte alimentare o per produrre sciroppi zuccherini.
La massa caseosa ancora in caldaia viene rotta a frammenti di dimensione di una nocciola e poi estratta e lasciata maturare per circa un’ora prima di esser avviata alla filatura in acqua bollente. La pasta filata viene lavorata a forma di focaccia di spessore di circa 1 centimetro, sommariamente salata quindi ripassata in acqua calda per essere forgiata a sacchetto che viene riempito con una miscela di panna e frammenti sfilacciati di pasta filata (chiamata anche stracciatella) che dona al prodotto un aroma di latte fresco e burro. La panna, generalmente ottenuta da centrifugazione del latte o del siero di latte, viene trattata a caldo con sistema U.H.T. (Ultra High Temperature ovvero sistema che riscalda a temperatura superiore a 130 °C applicata per pochi secondi) lo stesso che si utilizza per il latte alimentare a lunga conservazione e che consente di bonificare a fondo il prodotto.
Il processo termina con la sigillatura a caldo dell’imboccatura dell’astuccio che talvolta viene legata con un nastro conferendo così al prodotto la classica forma a pera, cui fanno seguito il rassodamento mediante acqua fredda, un veloce passaggio in salamoia e il confezionamento in vaschetta, sacchetto o carta.
La tipicità del prodotto è tale che è nato anche un Consorzio di Tutela della Burrata di Andria abbinato al marchio di tutela IGP (Indicazione Geografica Protetta).


La burrata, una gioia da portare a tavola
La burrata si consuma come piatto principale abbinato a verdura cruda o cotta oppure per un’insalata con le acciughe, ma si può ottimamente impegnare anche come condimento misto a pesto e pomodorini freschi per un piatto di spaghetti.
Bibliografia
Salvadori del Prato, O. Le paste filate In Trattato di Tecnologia Casearia. Bologna: Edagricole; 1998. 588-641.
Luca Sessa. 3 ricette con burrata e stracciatella. Il giornale del cibo. www.ilgiornaledelcibo.it