
Progetto in collaborazione con BCA Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione Università degli Studi di Padova
A cura del Prof. Enrico Novelli
Corso di Studi Sicurezza Igienico-sanitaria degli Alimenti – Sede di Vicenza
La polenta, un cibo che unisce tutta l’Italia
A differenza di quello che spesso si pensa, la polenta non è consumata solo in Veneto, anzi. Da sempre piatto povero delle zone settentrionali, viene preparata anche in Toscana e nelle zone montane di Marche, Abruzzo, Lazio e Molise. La parola polenta immediatamente ci porta a pensare al colore giallo del mais (anche se in Veneto e Friuli Venezia-Giulia si consuma la polenta bianca prodotta con farina di mais Biancoperla) ma non è sempre stato così e tuttora, in alcune zone d’Italia la farina di mais è mescolata ad altri ingredienti come il grano saraceno nella preparazione della polenta taragna.
Dicevamo che non è sempre stata preparata con il mais perché l’arrivo del granturco in Europa è successivo alla scoperta dell’America ma la preparazione della polenta è ben più antica. Secondo gli storici un piatto a base di farina di farro, puls o pultem, era già preparato in epoca romana e successivamente venne arricchito da farine di altri cereali (come segale, orzo) e legumi e anche condito con latte o carne d’agnello o di maiale o ancora con miele o uova.


In epoca medioevale
Durante il Medioevo una preparazione simile aveva come base le castagne, soprattutto nelle regioni montuose. I documenti storici riferiscono di impasti di farine di orzo e miglio con acqua, mescolati di continuo durante la cottura in paioli. Tradizionalmente la sua preparazione prevede l’utilizzo di un paiolo in rame dove la farina di mais viene versata nell’acqua bollente e mescolata in continuazione con una sorta di mestolo di legno, che assomiglia molto ad un bastone.
Farina bramata, fioretto e fumetto
Sulla base della tipologia di macinatura a cui il mais è sottoposto si ottiene la farina bramata, caratterizzata da una grana più grossa, fioretto e fumetto sono invece fini e molto fini. La macinazione a pietra è la modalità che consente di mantenere tutte le parti della cariosside e, da un certo punto di vista, può essere considerata la migliore. Per ogni litro d’acqua si possono impiegare 300 grammi di farina di mais per ottenere una polenta di consistenza piuttosto compatta, 250 grammi per una di media consistenza e 200 grammi per avere una polenta tenera. Quanto più fresca è la farina, ossia macinata di recente, tanto migliore sarà il risultato. Quando l’acqua inizia a bollire si aggiunge il sale quindi si fa cadere la farina a spolvero, un po’ alla volta. Per evitare la formazione di grumi sarebbe meglio iniziare a mescolare con una frusta e solo successivamente passare al mestolo di legno. Il rimescolamento deve essere costante e regolare finché la polenta non si stacca dalle pareti della pentola. Oggi la farina si ottiene da varietà ibride molto produttive tuttavia sopravvivono e sono oggetto di grande interesse anche le vecchie varietà di mais, come il Marano Vicentino, il Scagliolo Marne dell’Isola bergamasca, il Nostrano di Storo per citarne alcuni, da cui si ottengono farine per polenta con caratteristiche uniche e facilmente distinguibili fra loro. Le farine con granulometria più grossa sono adatte per polenta da far fritta o abbrustolita alla griglia mentre le granulometrie più fini sono adatte per polente tenere da mescolare con i diversi condimenti.


L’arrivo del mais in Europa
Le prime notizie sulla coltivazione del mais sono nei diari di viaggio di Cristoforo Colombo che portò in Europa numerosi semi poi consegnati in Spagna e Portogallo, si trattava però di varietà poco adatte alle nuove condizioni climatiche. L’intensificazione dei viaggi e l’importazione di nuove varietà favorirono il processo di coltivazione. La diffusione del mais sembra essere legato alla Serenissima, dove da pianta oggetto di studio divenne coltivazione a scopo alimentare. L’abitudine all’utilizzo per la preparazione della polenta sembra sia dovuta ai friulani mentre a Venezia la farina di mais era alla base dei zaleti, i biscotti tuttora tra i simboli della città lagunare. La parola granturco è infatti legata all’abitudine a indicare come turco ciò che non fosse locale.
Dal 1500 in poi la pietanza si diffuse dal Veneto alla Lombardia (Bergamo e Milano) fino al Piemonte costituendo il cibo delle popolazioni più povere, divenendo praticamente l’unica fonte alimentare. Infatti il consumo di polenta è tristemente associato alla diffusione della pellagra, soprattutto in Veneto, Emilia Romagna e Lombardia; dalla fine del 1700 la malattia, che se non curata portava alla demenza e alla morte, si diffuse in modo importante. Gli scienziati dell’epoca ipotizzarono che la causa fosse la presenza di una tossina nel mais ma nella seconda metà del 1900, negli Stati Uniti, il medico Joseph Goldberger capì che la causa della malattia era in realtà la dieta. La pellagra è infatti dovuta alla carenza di niacina (vitamina PP) che, seppur presente nel mais, non era disponibile a causa del tipo di preparazione utilizzata all’epoca e non poteva perciò essere assorbita come invece normalmente accade utilizzando altre fonti alimentari che però non erano disponibili a causa della povertà della popolazione. Infatti, il medico osservò che l’integrazione della dieta a base di mais con altri alimenti (frutta e verdura) scongiurava la comparsa dei sintomi. In seguito altri studi sulla popolazione messicana, grande consumatrice di mais ma che raramente presentava la malattia, evidenziarono che il trattamento con acqua di calce a cui sottoponevano la farina favoriva la disponibilità delle vitamine. In Veneto la malattia continuò fino al secondo dopoguerra.


La cucina regionale e la polenta: un connubio perfetto
La polenta pronta può essere mantenuta a temperatura ambiente fino all’apertura della confezione. La tecnologia di preparazione e l’integrità della confezione garantiscono le caratteristiche del prodotto. L’aggiunta di acido tartarico, un acido presente ad esempio nell’uva e in molti altri vegetali, ha il compito di modificare l’acidità della polenta migliorandone la stabilità. Ovviamente, una volta aperta, deve essere posta in frigorifero e consumata entro un paio di giorni.
Se uno vuol rendersi conto dell’importanza che il mais e la sua farina hanno avuto nell’alimentazione degli italiani deve consultare le ricette regionali, soprattutto in Veneto, Trentino, Friuli, Lombardia, Piemonte, Marche e Lazio, ove ne troverà molte che utilizzano la polenta come ingrediente base. La polenta pronta Prix, riscaldata è un ottimo accompagnamento per salumi, formaggi, funghi e molto altro, può essere fritta o, se tagliata a fette, diventare la base di deliziose preparazioni al forno o in padella, gratinando o farcendo a piacere le stesse fette.
Nella tradizione rurale la polenta veniva consumata secondo un preciso cerimoniale. Appena pronta veniva stesa sulla spianatoia quindi affettata usando uno spago di canapa. Prima, due tagli trasversali poi, la si divideva in fette. Si narra che con la polenta, in particolari occasioni o feste, si facevano anche delle particolari competizioni. Alcuni concorrenti si mettevano attorno a un tavolo al cui centro c’era una polenta appena preparata e al via cominciavano a mangiarla partendo dal bordo. Il primo che arrivava al centro ove era collocata una delizia, tipo una salsiccia o un pezzo di lesso, vinceva il goloso premio.
Ricordiamo infine che anche Alessandro Manzoni nel VI capitolo dei Promessi Sposi ne fa menzione da profondo conoscitore della cultura e tradizione rurale del tempo.
Riferimenti
– Polenta, dai babilonesi ai contadini del Nord Italia.
– Storia tradizioni della polenta.
– Polenta.
– Ascione, A. Polenta. Glossario dell’artigianato.
– La leggenda della polenta del diavolo.
– Barus, D. La pellagra: colpa della povertà non della polenta.
– Brandolini, A. e Brandolini, A. Origine e diffusione. In: Maggiore, T. Il mais. Coltura & Cultura.
– Bolognesi, G. Ricette. In: Maggiore, T. Il mais. Coltura & Cultura.